Un nuovo rapporto della FAO dipinge un quadro preoccupante e fornisce raccomandazioni su cosa fare
[20 giugno 2018]
«L’inquinamento delle risorse idriche legato a pratiche agricole non sostenibili rappresenta un rischio serio per la salute umana e per agli ecosistemi del pianeta: un problema questo spesso sottovalutato sia dai decisori politici che dagli agricoltori», è l’allarme lanciato dal nuovo rapporto “More People, More Food, Worse Water? A Global Review of Water Pollution from Agriculture” presentatp da Fao e International water management insititute (Iwmi) alla High Level International Conference on the International Decade for Action “Water for Sustainable Development” 2018-2028 in corso a Dushanbe in Tagikistan.
Il rapporto evidenzia che «In molti Paesi l’agricoltura rappresenta oggi la fonte principale dell’inquinamento dell’acqua – non le città, né l’industria , mentre a livello mondiale il contaminante chimico più comunemente rilevato nelle falde acquifere è il nitrato utilizzato in agricoltura. L’agricoltura moderna è responsabile dello sversamento di grandi quantità di prodotti agro-chimici, materiale organico, sedimenti e elementi salini nelle riserve d’acqua. L’inquinamento colpisce miliardi di persone e genera costi che vanno oltre i miliardi di dollari».
Il nuovo rapporto è la raccolta di più ampia della letteratura scientifica esistente sul tema e punta a «riempire i gap di informazione e a delineare politiche e soluzioni a livello pratico in un unico documento consolidato».
I dati snocciolati dal rapporto sono davvero preoccupanti: L’agricoltura è il maggior produttore di acque reflue (nella forma di drenaggio agricolo). A livello globale, circa 115 milioni di tonnellate di fertilizzanti a base di azoto vengono sparsi ogni anno. Il 20% circa di questi input finisce con l’accumularsi nel suolo e nella biomassa, mentre il 35% finisce negli oceani. Nel mondo, ogni anno vengono spruzzati nell’ ambiente 4,6 milioni di tonnellate di pesticidi chimici. I Paesi in via di sviluppo rappresentano il 25% del consumo mondiale di pesticidi in agricoltura, ma il 99% delle morti legate all’avvelenamento da pesticidi. Stime recenti fissano l’impatto economico dei pesticidi su specie non target (come l’uomo) a circa 8 miliardi di dollari all’anno, nei paesi in via di sviluppo. Nel mondo l’ipossia ambientale (mancanza di ossigeno) legata all’eccessiva presenza di nutrienti nei reflui, colpisce un’area di 240.000 Km2, compresi 70.000 Km2 di acque interne e 170.000 Km2 di zone costiere. Si stima che, a livello globale, il 24% delle aree irrigate sia colpita da salinizzazione. Attualmente, negli ambienti acquatici europei sono presenti più di 700 nuovi inquinanti, i loro metaboliti e prodotti di trasformazione.
Nell’introduzione al rapporto, Eduardo Mansur, direttore della Divisione Fao terra e acqua, e Claudia Sadoff, direttrice generale delll’Iwmi, scrivono che «L’agricoltura è il maggior produttore di acque reflue, in termini di volume, mentre l’allevamento genera molti più escrementi degli umani. Con l’aumento dell’utilizzo delle terre, i paesi hanno aumentato notevolmente l’utilizzo di pesticidi sintetici, fertilizzanti e altri input. Mentre questi input hanno contribuito a rafforzare la produzione alimentare, hanno anche provocato minacce ambientali e potenziali problemi per la salute umana».
Tra gli inquinanti agricoli quelli che destano maggiore preoccupazione per la salute umana sono i patogeni derivanti dall’allevamento, i pesticidi, i nitrati nelle falde acquifere, tracce di elementi metallici e nuovi inquinanti, come i geni resistenti agli antibiotici e agli antimicrobici nelle feci degli animali da allevamento.
La Fao evidenzia che «Il boom della produttività agricola che è seguito alla seconda guerra mondiale è stato ottenuto in larga parte attraverso l’uso intenso di input come pesticidi e fertilizzanti chimici. Dal 1960 l’uso di fertilizzanti minerali è cresciuto di dieci volte, mentre dal 1970 le vendite globali di pesticidi sono aumentate da circa un miliardo di dollari a 35 miliardi di dollari l’anno. Al contempo, l’intensificazione della produzione da allevamento – gli animali da allevamento sono più che triplicati dal 1970 – ha portato all’emergere di una nuova classe di inquinanti: antibiotici, vaccini e promotori ormonali della crescita che, attraverso l’acqua, passano dagli allevamenti negli ecosistemi e nell’acqua che beviamo. Inoltre, l’inquinamento idrico dovuto a materiale organico originato negli allevamenti è oggi di gran lunga più diffuso che l’inquinamento organico legato alle aree urbane».
La Fao evidenzia che «Il boom della produttività agricola che è seguito alla seconda guerra mondiale è stato ottenuto in larga parte attraverso l’uso intenso di input come pesticidi e fertilizzanti chimici. Dal 1960 l’uso di fertilizzanti minerali è cresciuto di dieci volte, mentre dal 1970 le vendite globali di pesticidi sono aumentate da circa un miliardo di dollari a 35 miliardi di dollari l’anno. Al contempo, l’intensificazione della produzione da allevamento – gli animali da allevamento sono più che triplicati dal 1970 – ha portato all’emergere di una nuova classe di inquinanti: antibiotici, vaccini e promotori ormonali della crescita che, attraverso l’acqua, passano dagli allevamenti negli ecosistemi e nell’acqua che beviamo. Inoltre, l’inquinamento idrico dovuto a materiale organico originato negli allevamenti è oggi di gran lunga più diffuso che l’inquinamento organico legato alle aree urbane».
Lo studio ricorda che «L’inquinamento di origine agricola delle risorse idriche è un tema complesso, e per gestirlo in modo efficace serve intervenire su diversi fronti. Il modo migliore di mitigare la pressione sugli ecosistemi idrici e sulle ecologie rurali è limitare la trasmissione di inquinanti alle fonti o intercettarli prima che raggiungano ecosistemi vulnerabili. Una volta usciti dalla fattoria, i costi per rimediare lievitano progressivamente».
Fao e Iwmi suggeriscono alcune soluzioni: «Un modo per evitare che questo si verifichi è sviluppare politiche e incentivi per incoraggiare diete più sostenibili e limitare l’aumento della domanda di cibo ad alto costo ambientale – per esempio attraverso tasse e sussidi. A livello di consumatore, ridurre gli sprechi alimentari può aiutare. Uno studio incluso nel rapporto ha stimato che l’inquinamento da azoto derivante dagli sprechi alimentari ammonta a 6,3 teragrammi all’anno. Strumenti regolatori tradizionali continueranno anch’essi ad essere di fondamentale importanza per ridurre la produzione di inquinanti dal settore agricolo. Tra questi: standard di qualità dell’acqua; permessi di scarico degli inquinanti; buone pratiche obbligatorie; valutazione dell’impatto ambientale per certe attività agricole; zone “cuscinetto” tra fattorie; restrizioni alle attività agricole o alla localizzazione delle aziende agricole; limiti alla commercializzazione e alla vendita di prodotti pericolosi».
Il rapporto riconosce che «Principi conosciuti per combattere l’inquinamento, come quello “chi inquina paga” sono difficili da applicare perché individuare il colpevole è spesso difficile e costoso. Questo significa che misure per coinvolgere gli agricoltori in prima persona sono fondamentali per fermare l’inquinamento alla fonte: come incentivi fiscali per l’adozione di pratiche che minimizzano la fuoriuscita di nutrienti e pesticidi dall’azienda agricola, o pagamenti per i servizio di tutela del paesaggio. Nell’azienda agricola, una serie di buone pratiche può ridurre la fuoriuscita di inquinanti, come minimizzare l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, stabilire zone cuscinetto tra corsi d’ acqua e confini agricoli, migliorare gli schemi di controllo del drenaggio. La gestione integrata delle infestazioni, che combina l’uso strategico di colture resistenti alle infestazioni e altre colture a rotazione, oltre all’ introduzione di predatori naturali delle infestazioni più comuni è un altro strumento utile.
Il rapporto riconosce che «Principi conosciuti per combattere l’inquinamento, come quello “chi inquina paga” sono difficili da applicare perché individuare il colpevole è spesso difficile e costoso. Questo significa che misure per coinvolgere gli agricoltori in prima persona sono fondamentali per fermare l’inquinamento alla fonte: come incentivi fiscali per l’adozione di pratiche che minimizzano la fuoriuscita di nutrienti e pesticidi dall’azienda agricola, o pagamenti per i servizio di tutela del paesaggio. Nell’azienda agricola, una serie di buone pratiche può ridurre la fuoriuscita di inquinanti, come minimizzare l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, stabilire zone cuscinetto tra corsi d’ acqua e confini agricoli, migliorare gli schemi di controllo del drenaggio. La gestione integrata delle infestazioni, che combina l’uso strategico di colture resistenti alle infestazioni e altre colture a rotazione, oltre all’ introduzione di predatori naturali delle infestazioni più comuni è un altro strumento utile.
Per quanto riguarda l’allevamento, sono sempre necessarie tecniche tradizionali come il ripristino di aree di pascolo degradate, una migliore gestione della dieta del bestiame, additivi alimentari e medicinali – serve però fare di più in ambito di tecnologie e tecniche per il riciclo di nuovi nutrienti, come gli impianti di “biodigestione” di rifiuti agricoli».
Tratto da: http://www.greenreport.it/news/inquinamenti/fao-e-iwmi-gli-inquinanti-agricoli-sono-una-seria-minaccia-per-le-risorse-idriche-mondiali/#prettyPhotoFonte alternativa: http://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2018/06/20/news/alimentazione_gli_inquinanti_agricoli_sono_una_minaccia_seria_per_le_risorse_idriche_mondiali-199493932/
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