Una storia che pochi conoscono e che invece merita di fare parte della memoria collettiva.
AKTION T4, IL NOME DEL PROGETTO NAZISTA DI ELIMINAZIONE DI DISABILI E MALATI MENTALI.
L'Aktion T4 è il nome convenzionale con cui viene designato il Programma nazista di eutanasia che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da portatori di handicap mentali (ma non fisici, se non per casi gravi), cioè delle cosiddette "vite indegne di essere vissute". Si stima che l'attuazione del programma T4 abbia portato all'uccisione di un totale di persone compreso tra le 60.000 e le 100.000. Per quanto concerne la sola terza fase dell'aktion T4, i medici incaricati di portare avanti l'operazione decisero di uccidere il 20% dei pazienti presenti negli istituti di cura, per un totale di circa 70.000 vittime. A ogni modo l'uccisione di tali individui proseguì anche oltre la fine ufficiale dell'operazione, portando quindi il totale delle vittime a una cifra che si stima intorno ai 200.000 individui.
https://it.wikipedia.org/wiki/Aktion_T4
L’uccisione dei bambini
Verso la fine del 1938, in seguito al cosiddetto”Caso Knauer” che segnò un punto di svolta radicale per ciò che riguarda l’inizio del programma di sterminio dei disabili, venne istituito il Comitato del Reich per il rilevamento scientifico di malattie congenite ed ereditarie gravi, l’organo che aveva il compito di provvedere segretamente all’ “eutanasia” dei bambini disabili”.
Poco più tardi, nel 1939, il Ministero degli Interni ordinò che tutto il personale sanitario operativo negli ospedali tedeschi riferisse di ogni caso di bambino nato con malformazioni gravi, come la Sindrome di Down, l’idrocefalia, la paralisi e le condizioni spastiche. Inizialmente la segnalazione riguardava tutti i bambini di età inferiore ai tre anni, ma di lì a poco l’età salì, andando a stento a differenziarsi da quella adulta.
Alle famiglie, come avvenne poi con i disabili adulti, veniva detto che i loro cari sarebbero stati trasferiti in dei luoghi di cura più adatti alle loro esigenze, il più delle volte vicino casa.
Nel caso dei bambini, questi sarebbero stati trasferiti in Centri pediatrici dove avrebbero potuto ricevere cure migliori e innovative. E quando chiedevano di potersi mettere in comunicazione con loro, venivano addotte delle scuse inerenti il percorso di cure che i pazienti dovevano seguire, e che quindi il distoglierli dalle loro attività li avrebbe “danneggiati”. I bambini inviati presso questi Centri venivano tenuti in osservazione per qualche settimana e poi uccisi. I certificati di morte che venivano in seguito consegnati alle famiglie, adducevano le cause più disparate, dalla polmonite all’appendicite, alle infezioni. In molti casi tali scuse si mostrarono poco credibili (ad esempio veniva indicata come causa di morte l’appendicite in bambini a cui era stata asportata in precedenza), ed iniziarono a sollevare il sospetto dei genitori ai quali, ad ogni modo, non veniva lasciata scelta. Chi si rifiutava di consegnare i propri figli rischiava di perderne la custodia o, nei casi delle famiglie più insistenti, di morire.
L’uccisione degli adulti
L’estensione del programma di eccidio dai bambini agli adulti significò ufficializzare l’uccisione medica all’interno di una politica generale ufficiale enunciata nell’ottobre 1939 Hitler con il “Decreto del Führer” (che venne poi retrodatato così da farlo coincidere esattamente con lo scoppio della guerra). Sebbene Hitler e gli altri capi nazisti ritenessero necessaria tale manovra, si rendevano conto, al contempo, che il pubblico tedesco non sarebbe stato in grado di affrontarla. Per questo motivo il decreto fu scritto nella cerchia dei collaboratori più stretti e fidati del Führer, così da non destare i sospetti delle masse. Non si trattava quindi di un decreto formale che aveva a tutti gli effetti il valore di legge (che avrebbe inoltre potuto dar alimento alla propaganda nemica), almeno da un punto di vista strettamente burocratico.
A quel punto, era necessario selezionare i medici che avrebbero portato a termine la parte operativa del programma. Fra i criteri di selezione adottati c’erano il grado di fedeltà al regime, il riconoscimento di cui godevano nella loro professione e la “simpatia” nei confronti delle pratiche eugenetiche più radicali.
I metodi di uccisione
Se inizialmente gli adulti erano uccisi, al pari dei bambini, con iniezioni letali o comunque ricorrendo all’impiego di farmaci diversi, con il passare del tempo questo metodo si dimostrò lento ed inefficace. Fu lo stesso Führer a proporre al Ministro della Sanità del tempo, Karl Brandt, l’impiego di un mezzo molto più efficace e meno costoso: il monossido di carbonio. L’uccisione attraverso questo gas avveniva in apposite camere a gas e presto venne estesa a tutti i centri dell’Aktion T4; in seguito, i corpi venivano ammassati in grandi forni e cremati, il più delle volte gli uni insieme agli altri. E’ facile immaginare quindi che le ceneri ricevute dai parenti, non fossero mai realmente quelle del congiunto defunto.
Dato il coinvolgimento della classe medica nel Programma Aktion T4, ogni certificato di morte emesso, come nel caso dei bambini, doveva essere falsificato. In genere venivano individuate delle cause di morte che fosse in accordo con la condizione fisica precedente della persona, anche se non di rado capitava che si verificassero errori non trascurabili che non facevano altro che alimentare la consapevolezza, nella popolazione, che stava accadendo qualcosa di disumano.
Tratto da: http://www.abilitychannel.tv/aktion-t4-leugenetica-nazista/
Le uccisioni, gli esperimenti, le sofferenze inflitte ai malati mentali non furono opera delle SS e di fanatici nazisti, ma di illustri psichiatri che avevano portato la psichiatria tedesca ai vertici mondiali prodigandosi per migliorare le condizioni dei manicomi e dei malati e fu opera di medici di famiglia, di direttori di ospedali, di infermieri che si trasformarono in aguzzini dei loro pazienti.
Partendo dai questi angoscianti fatti storici, si è aperta a Trento il 27 gennaio (fino al 3 febbraio) nella Sala della Tromba, la mostra ‘Perché non avvenga mai più ricordiamo’, realizzata dalla Anffas Trentino Onlus che mette al centro il tema dell’eugenetica, della scienza, dell’etica e delle politiche del potere. Nelle motivazioni che portarono prima alla sterilizzazione forzata, poi direttamente all’uccisione dei disabili, si trova, nei documenti di quegli anni, l’assurda giustificazione a tale aberrazione: il Governo di Hitler poté concepire un simile piano perché quelle idee poggiavano su basi scientifiche, politiche e culturali diffuse all’epoca in Paesi civilissimi.
Nello sterminio dei disabili due episodi coinvolgono l’Italia. Il primo riguarda la deportazione di pazienti ebrei ricoverati negli ospedali psichiatrici di San Servolo e San Clemente a Venezia. Il secondo riguarda l’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana. Nel lungo e prezioso lavoro di ricerca condotta dal prof. Michael Von Cranach negli archivi dell’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren, sono state ritrovate delle lettere che erano state gelosamente custodite da un dipendente fino alla sua morte. Esse costituiscono un’agghiacciante testimonianza di esperimenti medici fatti su alcuni bambini che facevano parte di un gruppo di 400 pazienti italiani di madrelingua tedesca che, per un accordo tra i due governi, dall’ospedale psichiatrico di Pergine furono mandati in Germania dove morirono nei centri di uccisione del programma di eutanasia. Alcuni finirono nell’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren dove era direttore il dott. Faltlhauser. A lui si rivolse il diretto di un istituto di cura pediatrico, il dott. Hensel, per chiedere il permesso di provare un nuovo vaccino di sua invenzione contro la tubercolosi su un gruppo dei suoi piccoli pazienti. Alla fine di novembre del 1942 ne furono vaccinati 11. Il carteggio tra i due medici analizza meticolosamente le reazioni di queste cavie. Nessuna sopravvisse. (ANSA).
La foto proposta fa parte invece di un’altra mostra, a Roma, dal titolo “In Memoriam” curata dall’Agenzia per la Vita Indipendente (AVI – Roma) e frutto di una lunga e laboriosa ricerca effettuata dal prof. Michael Von Cranach, direttore dell’Istituto psichiatrico di Kaufbeuren presso gli Archivi della Clinica da lui diretta. Le immagini testimoniano le atrocità nei confronti delle persone con disabilità durante il nazismo attraverso documenti riguardanti singoli casi che ben fanno emergere la tragedia vissuta da migliaia di famiglie.
Tratto da: https://lorellaronconi.wordpress.com/tag/bambini-disabili/
Vite non degne di essere vissute
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