È stato approvato al Parlamento europeo il testo del regolamento che prevede l’introduzione di un certificato sanitario per regolare la libertà di spostamento dei cittadini all’interno dell’Unione europea.
Le novità del regolamento sul Covid pass
Il testo è passato con una larga maggioranza e ha subito alcune modifiche con l’aggiunta di diversi emendamenti proposti dal Parlamento. Ora si entrerà in una fase di trattativa tra le diverse istituzioni europee, Commissione e Consiglio in testa, con l’obiettivo di arrivare ad una sua introduzione entro giugno.
Ma quali sono le principali novità dopo la votazione di ieri? Innanzitutto è cambiato il nome. Questo documento non si chiamerà più Digital Green Certificate, come era stato proposto dalla Commissione, ma sarà identificato con il nome di certificato Covid.
È stata poi introdotta la possibilità di riconoscere tra i vaccini validi per vedersi rilasciato il certificato non solo quelli approvati dalle autorità europee, come l’EMA, ma anche quelli presenti nella lista dell’OMS approvata in via d’emergenza. Un emendamento, questo, voluto fortemente dall’Ungheria che per la vaccinazione sta utilizzando il russo Sputnik e il cinese Sinovac.
Sembra essere poi stata delimitata nel tempo la durata della validità di questo certificato, che è prevista per 12 mesi dalla sua introduzione e comunque non oltre la durata dell’emergenza sanitaria.
Le contraddizioni del regolamento
Restano tuttavia diverse zone d’ombra sull’efficacia di questo documento. Il punto centrale sembra essere sempre la questione della possibilità di contagiare per i vaccinati. Ed è curioso che su questo tema nel testo del regolamento si ravvisino due emendamenti decisamente in contrasto tra di loro. Nell’emendamento 7 si legge che:
Secondo le attuali conoscenze mediche, le persone vaccinate […]hanno un rischio notevolmente ridotto di infettare con il SARS-CoV-2 altre persone.
Mentre l’emendamento 7bis sembra contraddire quanto appena scritto perché dice:
Tuttavia, in questa fase, non è ancora chiaro se i vaccini prevengano la trasmissione della COVID-19.
Questa confusione del regolamento sembra però trovare risposta dalla comunità scientifica. Il professor Garavelli dell’Ospedale di Novara intervistato da noi nel merito ha dichiarato:
Esiste la possibilità non frequentissima che il vaccinato si infetti con un virus presente nell’ambiente. Il virus si replica nelle alte vie respiratorie, difficilmente scende dando la malattia conclamata e questo è l’aspetto positivo del vaccino. Il vaccino evita che l’infezione si trasformi in malattia. Pur tuttavia il virus replicatosi nelle alte vie respiratorie può essere fonte di contagio per altri.
Dichiarazioni che si sposano con quanto affermato recentemente anche dal Professor Locatelli, il coordinatore del CTS, e dalla stessa AIFA. Allo stato attuale non c’è quindi evidenza scientifica sul fatto che un vaccinato possa essere più o meno contagioso di un non vaccinato. Stando così le cose verrebbe meno la ragione di introdurre un certificato sanitario.
La disparità di trattamento insita nel certificato
La posizione della comunità scientifica avrebbe potuto trovare un riscontro con l’introduzione dell’emendamento proposto dall’eurodeputata finlandese Silvia Modig. In questa proposta si richiedeva infatti che, prima di introdurre il certificato europeo, si sarebbe dovuti arrivare a raccogliere solide evidenze scientifiche sulla non contagiosità dei vaccinati oltre ad assicurare l’approvvigionamento di vaccini per tutta la popolazione.
Tale emendamento è stato però bocciato con larga maggioranza dai parlamentari europei. C’è infine la questione della disparità di trattamento economico. Perché mentre la somministrazione del vaccino è gratuita, il tampone non lo è, almeno in Italia.
E questo genera automaticamente una differente accessibilità al certificato sulla base del reddito. Siamo quindi sicuri che tutte queste criticità possano essere messe da parte con la giustificazione di dover far ripartire il turismo?
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