Caro scientista,
non dirò che ti voglio bene, sarebbe disonesto, visto che non sto parlando con una persona che conosco. Ma provo tenerezza per la tua condizione, questo sì: pena e tenerezza, e posso dirlo perché è vero.
Vedi, quello che mi risulta tenero, in te, è l’evidente sofferenza che esprimi, tutta la paura che esibisci nel combattere una battaglia che non comprendi, per ragioni che non conosci, secondo processi di cui nemmeno sospetti l’esistenza. Sei come una formica, che porta il suo pezzetto di pane fino allo sfinimento, oppure corre a combattere con cieca determinazione, a seconda degli impulsi chimici che la comandano, senza alcuna coscienza di ciò che fa.
Uno degli aspetti più spesso fraintesi è il motivo per cui parlo con te, il motivo per cui pubblico questi dialoghi. Molti pensano che lo faccia per prendervi in giro, per umiliarvi. Così non è. Ad umiliarvi ci pensate da soli, non serve alcun impegno da parte mia. E davvero non trovo alcun interesse nel misurarmi con voi, sarebbe come volersi misurare facendo a braccio di ferro con un bambino dell’asilo. Diamine, sarebbe come costringerlo a vaccinarsi minacciando di tenerlo lontano dal parco giochi o dalla sua classe, insomma, un atto degno di malati mentali. No, davvero, non lo faccio per questo, e tanto meno per farvi cambiare idea. Molti scientisti ad esempio mi scrivono: “non mi convincerai mai!” E ci mancherebbe altro, nemmeno me lo sogno, di convincerti di alcunché. Anzitutto, mai confondere l’interlocutore con il destinatario di un messaggio: parlo con te ma il mio messaggio non è rivolto a te. Avrebbe forse senso parlare con un jihadista per fargli notare che il suo comportamento è fanatico? Il mio messaggio è rivolto a terzi, a chi legge i nostri scambi, non a te. Vedi, una delle più interessanti dinamiche percettive insegna che la mente umana riesce molto meglio a cogliere un processo in atto se l’osservatore lo rileva in un contesto che non lo coinvolga personalmente.
Ed ecco il punto: io evidenzio le tue contraddizioni, la tua illogicità, il tuo fanatismo e le esternazioni, talvolta comiche, talvolta grottesche, talvolta tragiche che ne derivano, e le espongo a terzi perché osservandole afferrino il processo di cui sei vittima, e imparino a riconoscerlo, imparino a non caderne vittima a loro volta.
Non fraintendermi: non penso tu sia “inferiore” a me o a nessun altro, più di quanto sia “inferiore” una persona affetta dal morbillo: sei semplicemente malato. Hai una malattia dell’anima, prima ancora che della mente, una malattia che ha origini antiche, che le religioni hanno, per millenni, cercato di contenere, fornendo quelle stesse sicurezze esistenziali, quelle stesse risposte “assolute”, quelle “Verità innegabili” che tu oggi reclami disperatamente, e disperatamente tenti di trovare nella scienza, trasformandola senza nemmeno saperlo in quella mostruosità che è più corretto definire “LaScienzah”. Non voglio spingermi a definire se vi siano colpe in questo, ma è innegabile che siamo tutti esseri senzienti e dotati di un cervello, dotati di autocoscienza – anche tu. Il fatto che alcuni, molti purtroppo, non abbiano il coraggio di assumersene la responsabilità, abbiano un bisogno talmente disperato di noleggiare e santificare “Verità” dogmatiche dietro cui nascondersi, lo trovo indubbiamente triste.
Nondimeno, c’è anche molto di tenero in te. Il tuo violare le stesse regole che eleggi a cardine dell’universo, ad esempio. Il tuo entusiasmo nel difenderle contro qualsiasi “minaccia”, senza nemmeno considerare se sia poi una minaccia o una occasione di progresso, di miglioramento. Il tuo evidente terrore alle narrazioni del babau: la “terribile epidemia di morbillo”, il timore che “tornino le epidemie” al calare di immaginarie soglie di immunizzazione vaccinale. La tua corsa a riempirti il corpo di sostanze chimiche di cui non sai assolutamente niente, nella cieca fede che siano assolutamente necessarie alla tua sopravvivenza. E, più di ogni altra cosa, la tua ingenua fede in ogni singola parola pronunciata dai tuoi sacerdoti de LaScienzah, rimbombata dai media, che ripeti religiosamente a memoria in ogni dialogo come fosse farina del tuo sacco. Che è poi la stessa identica fede cieca nella “pillolina salvifica” – perfetta se tuo figlio è troppo attivo, se non hai sonno o appetito o voglia di ballare all’ora in cui il sistema sociale decide tu debba averne, se il tuo uccello non si solleva minacciando di infrangere ai tuoi fragili occhi l’immagine da pubblicità che hai edificato attorno alla tua identità di genere.
Sì, indubbiamente mi fai tenerezza, e tanta pena. Ma non voglio mentirti: io qui ti sto usando. Ti sto usando scientificamente,come un vaccino, per immunizzare quante più persone possibili dalla malattia che ti consuma, che ti rende uno schiavo perfettoper un sistema costruito sulla tua cieca obbedienza, sul tuo subire terrori immaginari, sul tuo “produrre, consumare, ammalarti” che sono il nuovo “credere, obbedire, combattere” – cosa che fai ciecamente, a comando, ogni volta che i sacerdoti del tuo credo fanatico te lo ordinano.
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